2020-08-29 07:43:02.732879 by Unknown
autore:Unknown
Format: epub
Lasciare Tabriz
Tutti i tetti scaricavano acqua. Nella cunetta, sotto una crosta di neve nera, si distingueva uno scorrere cordiale e continuo. Il sole ci riscaldava una guancia, i pioppi distendevano i rami scricchiolando contro un cielo ritornato leggero. Profonda e lenta fioritura nelle teste, nelle ossa e nei cuori. I progetti prendevano forma. Era Bahar, la primavera.
Nell’osteria armena gli agenti di servizio sonnecchiavano, con le tuniche sbottonate, contro il muro blu su cui uno dei clienti aveva scritto in francese con un carbone merde au roi, fanculo il re. Al bazar si scherzava con molto entusiasmo davanti alla bottega chiusa dell’ultimo esercizio ebreo che ancora si difendeva. Il proprietario era stato schiacciato, pochi giorni prima, da un fagotto di tappeti. Gli altri avevano già abbandonato la piazza; in meno di sei mesi ridotti al fallimento, spazzati via senza scampo. Nessuno era corso in loro aiuto; anzi! La città è troppo dura perché vi si facciano regali a chicchessia. Vecchia come il mondo e come il mondo avvincente. Simile a un pane che è stato ricotto cento volte. Si vede di tutto e indignarsi non serve a nulla; ché essa non si sposterà di un millimetro. Esiste un proverbio che recita: “Bacia la mano che non puoi mordere e prega che essa sia stroncata”. Ci si adatta. Ciò non impedisce i momenti di grazia, di estasi o di dolcezza.
Un gracidare di cornacchie in cima ai nuovi rami. Con una nebbia di fango dorato, in una luce meravigliosa, gli enormi camion provenienti dall’Ovest si fermavano dondolanti davanti al bazar. Noi bevevamo qualche tè sul ciglio della strada, ascoltando la melodia di un clarinetto che saliva dai suk. Lo conoscevamo bene; era il falegname armeno, un pignolo, un mite, che trasportava il suo strumento in una bella scatola di legno di pero.
Rape bollite nel loro sangue e dolci profumati al limone.
Berrette e randelli.
Cavallo di fiacre con un garofano di carta sull’orecchio.
Finestra nera.
Vetri gelati dove s’iscrivevano gli astri.
Sentieri fangosi che conducevano verso il cielo.
Tabriz.
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